CLAUDIA VALERIA PROCULA

CLAUDIA VALERIA PROCULA

(tra storia, leggenda e fantasia)

Percorrendo le vie di Ferentino, ti puoi trovare a camminare su via Procula, o via Ponziana, o via Valeria; fermarti su Piazza Valeria Procula e magari entrare per una porta che ti introduce in un corridoio o in una vecchia sala racchiusa tra antiche mura di epoca romana; piazza e vie in una limitata zona del perimetro della città. Ti viene spontanea la domanda: ci sarà una relazione tra piazza Valeria Procula e via Ponziana? Come dire magari: tra Ponzio Pilato e Claudia Valeria Procula? E tra questi personaggi e Ferentino? Rispondere è difficile; fantasticare è più facile.

Primo quadro

È ORA DI PARTIRE

Non è facile immaginare quali e quanti pensieri si rincorrano nella mente e nel cuore della nobile Giulia. Del resto forse neppure lei riesce a rincorrerli in un momento, questo momento, in cui sta per aprirsi un nuovo cammino, incerto, ancora una volta, da percorrere nella sua vita: vita piena di storia e di storie, e, perciò, di non facile lettura.

La finestra è aperta verso la luce, intensa, di questa luminosa mattina di primavera. Oltre la finestra, il giardino profuma di numerosi e vari colori di fiori. Ma lei volta le spalle alla bellezza dei fiori: il momento in cui sta prendendo la decisione ultima, non facile, le crea come un vuoto che la porta già oltre gli spazi che la circondano.

Il suo sguardo, verso la parete, attraversa la parete e naviga lontano, districandosi tra quei pensieri che non riesce a incolonnare e che la sballottano tra sensi di gioia e paura, tra desideri di accoglienza e timori di rifiuti.

Come sarà riaccolta nella sua famiglia, che non si distingueva certo nei comportamenti morali, ma che lei stessa aveva disonorato con un comportamento notoriamente scandaloso?

Era questo il motivo per cui il padre, Giulio Cesare Ottaviano Augusto, decise di allontanarla dalla casa – anche se non dal casato – e dalla città.

Qui aveva trovato accoglienza e amicizie; qualcuna troppo familiare da suscitare non poche riserve.

In una antica città di importanza notevole, nel complesso del vasto Impero, aveva ritrovato, comunque, un comportamento più consono alla sua condizione e dignità di figlia dell’Imperatore, aiutata anche dall’aria che qui aspirava: e non solo l’aria pura che si respira su questo colle ameno, ma anche la fraternità propria di una comunità lontana dai frastuoni della capitale e dagli intrighi delle varie famiglie che girano intorno al potere.

Qui ha potuto coltivare la sua naturale esigenza di una crescita culturale, e acquisire anche una certa esigenza di crescita cultuale, qui notevole e favorita dalle varie divinità, quasi viventi nei monumentali templi, eretti da una comunità che da sempre si sente richiamata dall’alto.

È ora di partire; di ritornare.

Gli anni trascorsi avranno cancellato, con il suo volto, anche il ricordo del suo comportamento? Troverà braccia chiuse alla memoria e aperte al perdono o occhi aperti ancora al disprezzo e bocche aperte solo a parole e giudizi di condanna?

E lei, avrà il coraggio di alzare gli occhi verso gli occhi del padre che l’aveva umiliata e punita con l’esilio?

La riconosceranno i figli che, ancora piccoli, aveva dovuto lasciare? Come saranno cresciuti Gaio e Lucio Cesare, i prediletti di nonno Ottaviano che li vede come suoi successori nel guidare la potenza e l’estensione dell’impero?

E il suo terzo e ultimo marito legale, Tiberio, – dal quale ha divorziato dopo soli cinque anni di matrimonio -, ricordando quegli anni, brevi ma comunque densi, come la vedrà? Sarà stata dimenticata la sua, non edificante, vita passata?

Ma … anche ripensando agli anni qui trascorsi, neppure riesce ad allontanare il ricordo, sempre presente, di sguardi incantati dalla sua bellezza, invidiosi per la sua nobiltà, e anche carichi di riserve per la sua vita passata nei giorni lontani della fanciullezza e giovinezza, e nei giorni più vicini della sua ormai maturità, qui cresciuta.

Non era facile percorrere le vie della città, che pure l’aveva bene accolta, dove erano ormai ben conosciute, oltre la sua provenienza e la sua nobiltà, anche le motivazioni che qui l’avevano condotta.

E quella figlia dal bel nome: Valeria!

Valeria perché bel nome, o perché lei, la nobile di casato, nella sua vita, anche qui non sempre esemplare, aveva frequentato, con troppa familiarità, l’altro nobile casato, quello della Gens Valeria? Del resto, anche allora, in giro per la città, non si poteva evitare di passare per qualche via del “tagliamento”.

La immaginiamo come impietrita e schiacciata da questi pensieri, quando risuona, dalla stanza accanto, una voce: “Mamma, sono pronta”. Appena il tempo, come quasi un risveglio, per ritrovarsi dentro quelle mura, che davanti a lei splende in tutta la sua bellezza il suo tesoro: Valeria, appunto.

Tredici anni, per saperla ancora bambina; bella nel corpo e negli abiti, per vederla ormai giovane; attenta nel portamento, per riconoscere la sua nobiltà; viva negli occhi, per avvertire la sua cultura.

Nel sorriso della mamma, sembra siano scomparsi i pensieri e i turbamenti che le agitavano il cuore.

Anche lei era pronta. Oltre la porta, semi aperta sulla piazza antistante, si vede pronta la carrozza che tra poco, scendendo adagio per uno stretto percorso, la porterà su via Consolare. I rumori delle ruote sui basoli della più volte percorsa strada cittadina, si confonderanno con i rimbalzi dei pensieri della sua mente.

Non importa quanto lungo sarà il viaggio; non importa quante ore mancheranno all’incontro; non importa se sarà mutata la vita della città da anni lasciata; ora importa solo la speranza che la famiglia la riaccolga, che la nobiltà la riconosca nella sua nobiltà, che la Gens Julia Claudia dia un vero nobile nome alla sua Valeria.

Secondo quadro

DI NUOVO ESILIATA

Non sarebbe facile contare quante volte, in questa ora, la nobile Giulia si sia rigirata, in attesa di un po’ di riposo, nel sonno, alla sua grave debolezza, ora in una povera casa, in questo letto ampio, ma, ormai, solo e tutto suo.

         Il ritrovarsi accanto, perdonata e riconquistata, il suo Tiberio è stato un sogno a lungo accarezzato, ma mai realizzato.  Per altre scelte di Tiberio? O la ferita non si è mai rimarginata? Eppure non tutto era andato perduto: non il rispetto, non l’amicizia, non la consapevolezza del valore acquisito, comunque, della Gens Claudia Julia!

         Come un sogno, le sembrava vedere, ma lontana da lei, e vicina a Tiberio, quello splendore che emanava Valeria. Certo non sua, di Tiberio, ma sempre della sua famiglia e di colei che pure aveva amata teneramente e con la quale aveva condiviso parte dei suoi anni più belli.

Tiberio, ormai avviato sulla via della storia e della gloria.

         E qui Giulia tende le braccia, come volesse abbracciare qualcuno: i figli che la avevano resa ancora più nobile e invidiata; a cominciare dai due prediletti di nonno Ottaviano e che lei non ha più potuto rivedere: Gaio e Lucio Cesare, e poi Valeria.

         Gaio aveva solo 18 anni, ma già con notevoli responsabilità di governo, quando mamma Giulia fu allontanata da Roma. Mamma Giulia non lo rivedrà più. Le trame politiche tra Roma e l’Oriente gli procureranno una vita difficile fino al ferimento che lo porterà alla morte a solo 24 anni lontano da Roma, nella Licia.

         Lucio Cesare aveva solo 15 anni quando la mamma lo strinse fra le braccia per l’ultima volta. E non poté più farlo, perché stroncato da una malattia, a soli 19 anni, nella lontana Gallia.

         Valeria è ora la prediletta e resta l’unico conforto, anche se breve nel tempo, per nonno Ottaviano. L’amarezza per la perdita degli amati e sognati successori nell’impero, i nipoti Gaio e Lucio Cesare, in qualche modo veniva lenita da Valeria, solo da poco conosciuta e “riconosciuta”, ma anche stimata per la bellezza e la cultura. L’aveva affidata al futuro imperatore Tiberio perché provvedesse alla sua piena formazione, degna di una nobile della Gens Claudia Julia.

Valeria; anche lei ormai lontana dalle sue braccia.

Giulia ormai ha la consapevolezza che le rimane poco: la nobiltà che il padre Ottaviano le ha lasciato in eredità; la sua cultura che non ha mai cessato di accrescere; la bellezza che non ha lasciato ancora completamento il suo volto nonostante il correre degli anni e le ultime sofferenze.

Un ultimo sguardo intorno: non è il palazzo imperiale, che aveva dovuto lasciare alla morte del padre; neppure l’accogliente casa del tempo del suo primo esilio. Ora è in una povera casa, nella terra calabra. È l’esilio riservatole dal nuovo imperatore, quel Tiberio che aveva tradito e dal quale non è stata mai perdonata.

Non sappiamo se è stato il peso degli anni, o la debolezza fisica per i troppi digiuni, o la sofferenza per la mancanza dei figli strappatile, o il rifiuto di una vita ormai senza senso, che l’hanno introdotta nel sonno; quell’ultimo sonno.

Terzo quadro

È ORA DI TORNARE

Gli anni passati in Giudea le avevano dato modo di accrescere ancora di più la cultura, già ampiamente acquisita fin dalla fanciullezza e dalla giovinezza, e ancora di più nell’ambiente della corte imperiale del patrigno Tiberio Giulio Cesare Augusto.

Era cresciuto ancora più il suo interesse nell’ambito cultuale, iniziato nella ormai lontana, nella geografia e nel tempo, città del suo nascere e dei suoi primi passi; quella città ricca di storia e monumenti, a cominciare dagli splendidi luoghi di culto, dedicati agli dei della religione romana e italica.

Poi l’incontro con una nuova religione, per lei poco comprensibile, eppure attraente: la religione di quel popolo che, da oltre un millennio, arricchiva di storia e di fede la Provincia, ora Romana, governata dal Procuratore Ponzio Pilato, il suo tanto amato Ponzio Pilato. Tanto amato, se aveva voluto presto raggiungerlo in quella lontana terra, quando di norma non era consentito alla sposa di seguire lo sposo impegnato a servizio dell’Impero.

E il Procuratore non solo amava sinceramente la sua Claudia Valeria, ma le era, in qualche modo, debitore.

Se il sannita aveva acquisito stima e apprezzamento agli occhi dell’Imperatore, non era dovuto certo alla sua origine o nobiltà, che non aveva, ma alla premura della sua amata sposa che non aveva avuto difficoltà ad ottenere per il suo Ponzio Pilato un incarico importante: essere Procuratore di una Provincia Romana; e gli fu affidata la più difficile da governare, quella appunto della Giudea.

Da dieci anni il Procuratore serve l’Impero in questa difficile Provincia; e da quasi tutti con a fianco la sua sposa, sempre da lui teneramente amata e da lei sempre sostenuto nel difficile compito.

Di quei dieci anni, uno, in particolare, porta il ricordo di una pagina di storia, sempre presente e particolarmente grave e pesante, tanto che, né il Procuratore né la sua sposa, sono riusciti ad alleggerirne il peso, anche se ormai sono passati sei anni.

Era l’ora sesta di quel sei aprile dell’anno diciassettesimo dell’Impero di Tiberio Giulio Cesare Augusto. Lei seminascosta tra le tende della finestra che le permettevano di vedere lui sul grande ampio terrazzo affollato di soldati e capi religiosi di Gerusalemme; e, in basso, sulla piazza una grande folla schiamazzante. All’improvviso si avvicinano al Procuratore altri soldati che strattonano un prigioniero, corpulento, mal vestito e dai lunghi capelli in disordine.

A qualche passo di distanza, ecco altri soldati che trascinano un secondo prigioniero ricoperto da un lungo abito, macchiato dal sangue che gronda dal capo coronato da un intreccio di spine e dal volto sfigurato da profonde ferite.

Ponzio Pilato si alza dal seggio e a fatica si incammina per affacciarsi sulla folla assiepata. Lo sguardo attento di Claudia nota che alcuni, sgomitolando tra la folla, si accostano ai più giovani tra i presenti per sussurrare all’orecchio una parola.

Ponzio Pilato, con un cenno della mano, impone il silenzio e si rivolge alla folla con voce quasi tremante.

“Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà?” Si alza un alto grido, quasi unanime: “Barabba, Barabba, Barabba”.

“Ma allora, che farò di Gesù …?”

Gesù? Quel nome! La mente di Claudia vola fino a Cesarea. Là per la prima volta ha sentito quel nome; nascosta tra la folla, ha visto il Rabbi; ha ascoltato la sua parola: i suoi discorsi pieni di saggezza e di profonda umanità; ha ammirato il suo grande rispetto per le donne, in un mondo dove non sono tenute in considerazione, non solo nel mondo romano dal quale proveniva, ma anche qui in Giudea.

“Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?”

L’urlo, alto, crudo, assordante: “”Sia crocifisso, sia crocifisso, sia crocifisso”, le trapassa il cuore.

Claudia aveva sperato, per l’affetto e la stima reciproca e per la convinzione, anche di Ponzio Pilato, dell’innocenza del Nazareno, che non lo avrebbe mai condannato a morte.

Con gli occhi piene di lacrime aveva potuto vedere il Procuratore, il suo Ponzio Pilato, lavarsi le mani e sedersi per scrivere la sentenza: la condanna a morte di un innocente! Una prova in più per prendere coscienza di come sono i politici: per loro conta più il potere che la coscienza, più l’ordine che la giustizia, più il quieto vivere che la verità.

I sei anni trascorsi non hanno potuto cancellare la memoria di quel giorno; né quella notte insonne: la sua notte, di Claudia, segnata dal dolore; la notte del sempre amato sposo, trascorsa come in mezzo ad un oceano in tempesta. Quella notte in cui non è riuscito a dormire. Ogni volta si rigirava nel letto, – lo confessò alla sposa – era come il rigirarsi tra la fedeltà alla sua coscienza che gli diceva che il Galileo era un innocente e la responsabilità di garantire la tranquillità nella provincia dell’impero romano; tra la fedeltà a Tiberio Cesare e la verità.

E questa notte, l’ultima notte nella non pacificata Gerusalemme e Giudea, scenderà il sonno? Questa notte che somiglia tanto a quella notte, non per il giudizio ingiusto e grave – nell’anno diciassettesimo dell’Impero di Tiberio Giulio Cesare Augusto -, ma in attesa del giudizio -, nell’anno ventitreesimo dell’all’Imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto -, del Procuratore Ponzio Pilato circa la condanna del Rabbi di Nazareth.

Quarto quadro

LA DOLOROSA SCELTA

Arrivati a 63, gli anni cominciano a pesare; anche per Valeria! Non tanto per il loro numero, ma per le vicende vissute nel corso di quegli anni; la condizione di figlia illegittima nella città natale, gli onori nella corte imperiale, il tempo vissuto nella lontana Giudea, condividendo le responsabilità civili, militari e religiose dello sposo. L’affaticava anche la ricerca delle risposte agli interrogativi – questi solo suoi – che le ponevano le visioni circa la fede, nell’incontro tra la religione che la legava alla tradizione familiare e quel messaggio arrivato dalla voce e dalla vita e dal dramma del giovane Galileo.

Lasciare la città natale -, che pure l’aveva fatta crescere, non solo nei suoi tredici anni, ma ancora di più nella stima per la sua bellezza e nella cultura e nel culto -, non le era pesato molto, nell’attesa dell’ingresso nella capitale dell’Impero e nella corte e famiglia dell’Imperatore. Lasciare la Provincia imperiale della Giudea -, dove pure aveva ricevuto stima e onori -, in qualche modo era stato un alleviare la sofferenza, mai venuta meno per quel sei aprile.

L’arrivo a Roma, che già prevedeva una dolorosa vicenda per il processo al Procuratore, la poneva davanti, drammaticamente, a nuove sofferenze.

Non aveva potuto rivedere e riabbracciare quel Tiberio che l’aveva accolta, nel suo primo arrivo nella Capitale, come una figlia e le aveva assicurato un avvenire che l’avrebbe fatta passare alla storia come sposa del Procuratore della Provincia romana della Giudea e – questo non per merito dell’Imperatore – come testimone della vita e del dramma del Nazareno e come terreno per quel seme nuovo caduto nella sua anima.

Ora Roma era nelle mani del nuovo Imperatore: Caligola Gaio Giulio Cesare Germanico. Anche Ponzio Pilato era nelle sue mani, del nuovo Imperatore, e in balia del suo giudizio.

Intanto, nei primi giorni del suo ritorno a Roma, come un alito di vento, le riaffioravano i ricordi che la riportavano in Giudea: a quell’incontro, a quella voce, a quel dramma.

Qualcuno, a volte con rispetto, a volte con ironia, parlava di “cristiani”. Non era stato difficile risentire, come eco, quella frase uscita con voce tremante dalla bocca de Procuratore: “Che farò di Gesù, chiamato Cristo?”.

Roma, assetata di potere, che ogni giorno allargava i confini del suo dominio sui popoli di diverse lingue, tradizioni e culti alle divinità, era stata essa stessa sedotta da molte forme cultuali. Anche il messaggio del Galileo era arrivato fino a Roma.

Si. Alcuni a Roma erano conosciuti come seguaci di quel “Gesù, chiamato Cristo”.

Come altre vie, anche quella “regina viarum”, che era conosciuta come via Appia e continuava come via Egnazia e ancora con altri nomi, fino a raggiungere l’Arabia, veniva percorsa non solo dalle legioni conquistatrici di popoli, ma anche da mercanti, da uomini di cultura e da messaggeri di nuovi culti. Roma, città conquistatrice di popoli dalle diverse forme religiose, veniva conquistata dalle forme religiose dei diversi popoli.

“Gesù, chiamato Cristo” da alcuni era conosciuto anche a Roma. Come un lampo di luce, nelle mente di Claudia si affacciò un ricordo. Ogni anno il Procuratore della Giudea doveva lasciare la quiete di Cesarea Marittima per salire a Gerusalemme, particolarmente affollata per una delle Feste celebrate con solennità: Pesah e Shavuot in particolare, con pellegrini provenienti dalle regioni anche più lontane: dalla Mesopotamia alla Frigia, da Cirene a Roma. Ma la Festa di Shavuot, in quel ventotto maggio del diciassettesimo anno dell’Imperatore Tiberio, aveva lasciato un forte segno, e un interrogativo al quale non era facile rispondere. Alcuni uomini sconosciuti all’improvviso parlano lingue diverse, trovando a Gerusalemme ascoltatori di ogni Provincia. Anche nel frastuono della folla, si era sentito spesso pronunciare quel nome: “Gesù, chiamato Cristo”.

Alle orecchie del Procuratore tutto veniva riportato, anche l’annuncio di quel nome. E quel nome destava, nel cuore di Claudia Valeria il desiderio di conoscere. Ora, risentire quel nome a Roma non poteva lasciare Claudia nell’indifferenza.

Intanto era giunto il giorno, fissato dal nuovo Imperatore, per il giudizio sul comportamento tenuto dal Procuratore della Giudea: nell’intero decennio del suo servizio e in particolare sul processo a quel “Gesù, chiamato Cristo”. E il giudizio fu di severa condanna: allontanamento da ogni servizio a nome dell’Imperatore, ma anche da Roma, con l’esilio nella Gallia.

Quella condanna aveva condannato la stessa sposa del già Procuratore: condannata ad essere lei stessa ora giudice, giudice dell’ultimo capitolo della sua vita e della sua storia.

In quel lontano anno aveva accolto con gioia il consenso dell’Imperatore ed aveva raggiunto il suo sposo nella Provincia così distante da Roma per essergli sempre accanto.

Da diversi giorni il dubbio ora la tormenta: lasciare di nuovo Roma per raggiungere il suo sposo esiliato in Gallia o … Non era facile fare la scelta, tra il sincero e ancora tenace amore per Ponzio Pilato e l’amore, percepito ma ancora non pienamente compreso, per quel “Gesù, chiamato Cristo”.

I giorni passavano; Ponzio Pilato è ormai nella lontana Gallia; e cominciava ad essere lontano anche dal cuore di Claudia Valeria Procula. Un altro amore sempre più forte l’assedia: quello del martire del Golgota.  E scelse il martire del Golgota.

E la fu l’inizio di un nuovo cammino, in compagnia dei discepoli del Nazareno, di quel “Gesù, chiamato Cristo”. E Claudia Valeria Procula divenne testimone con i testimoni, sorella tra nuove sorelle e nuovi fratelli.

Era l’anno secondo dell’Impero di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, quando, con l’ancora piccola Comunità di Roma, poté incontrare Simone detto Pietro, di cui conosceva la storia, ma non ancora il volto.

Uno dei momenti, ma non l’unico, più belli della sua nuova vita; una vita intensa di fede e amore fraterno. Un’avventura sempre più impegnativa, a cominciare dall’anno ottavo di Tiberio Claudio Druso Nerone Cesare, quando incontrò, sempre a Roma, Paolo di Tarso, di cui fu fedele e appassionata collaboratrice nel servizio di vivere e proclamare il Vangelo.

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Donna Claudia. Colei che sposò Pilato e sognò Gesù

Claudia Procula era la più giovane delle figlie di Giulia, la figlia dell’imperatore Ottaviano Augusto, dunque nipotina del fondatore dell’Impero di Roma. Giulia aveva avuto tre mariti, l’ultimo dei quali fu Tiberio. I ragazzi Lucio e Caio erano figli di Giulia, ragazzi che il nonno Augusto adorava e vedeva come suoi successori.
Ma erano la peste della gioventù di Roma. Uno morì in guerra, l’altro di malattia, non ancora ventenni. Per la sua vita dissoluta, Giulia era vista come contraria alla politica “moralizzatrice” del padre, e pertanto fu esiliata da Roma. Ma Augusto si associò al trono l’ultimo marito di Giulia, appunto Tiberio, che gli succederà nel 14 d.C. Durante l’esilio, Giulia diede alla luce Claudia, figlia di un cavaliere romano di cui non sappiamo il nome.

Moglie del governatore

Ma, l’esser figlia di tale madre, bastava alla piccola Claudia per far parte della più illustre famiglia di Roma, la gens Julia-Claudia, il clan dei primi imperatori di Roma, da Ottaviano a Nerone. Quando Claudia ebbe tredici anni, Giulia la mandò a Tiberio perché provvedesse alla sua istruzione.

Sedicenne, Claudia conobbe Ponzio Pilato, uomo di umili origini dell’Irpinia, il quale chiese a Tiberio di sposarla: un buon partito davvero, che avrebbe servito alla sua carriera militare-politica.

Così, Pilato si imparentò con la famiglia dell’Imperatore e, grazie ai buoni uffici di Claudia e all’appoggio di Seiano, il plenipotenziario di Tiberio, nel 26 d.C. fu nominato governatore della Giudea. Succede anche oggi a certi uomini, i quali, pur essendo a zero, salgono in alto grazie alle loro mogli illustri. Così andava il mondo, anzi così va ancora.

Pilato amava Claudia e, che l’amasse, lo dimostra il fatto che egli aveva chiesto di condurla con sé in Giudea, anche se la “lex Oppia” vietava ai proconsoli di condurre seco le mogli. Ma Claudia ottenne il permesso dallo stesso Tiberio. Da pochi anni, Pilato si trovava a Gerusalemme, quando poté accogliere Claudia, la quale non vedeva l’ora di vivere una vita nuova, lontano dalla capitale del mondo, in mezzo a gente sconosciuta e pure affascinante per la sua religiosità singolare.

Già a Roma, ella sapeva che i giudei adoravano un Dio unico, nascosto, misterioso, creatore e padre di tutti.

A Cesarea marittima, dove il governatore abitava, a Gerusalemme dove si trasferiva durante le feste della Pasqua, per assicurare l’ordine pubblico di quella gente piuttosto agitata e in cerca di profeti e di liberatori, Claudia sentì parlare di Gesù. Forse dalle serve che aveva scelto in Giudea, dai domestici che le recavano notizia di Lui. Possiamo pensare con fondamento che, Gesù, pure l’avesse visto di persona, essendo la fortezza Antonia, dove ella dimorava con il suo Ponzio, vicina al Tempio di Gerusalemme nel quale lo stesso Gesù veniva a pregare e a predicare.
Chi può negare che lo abbia pure ascoltato, visto che tutti andavano ad ascoltare Gesù, anche i pagani, fenici, cananei, greci o romani che fossero? Anche dei centurioni, comandanti delle caserme di soldati di Roma nelle città di Giudea, andavano da Gesù. E se ne tornavano dall’ascolto, dichiarando: «Mai nessuno ha parlato come costui!» (Gv 7,46). Noi pensiamo che Claudia sia stata profondamente scossa da Gesù: chi mai era quel Rabbì umile e maestoso, che coccolava i bambini e teneva testa come un giurista consumato ai suoi nemici? Chi era mai quel Maestro che annunciava il Dio unico e vero e, per Lui, una nuova vita, di Verità, di purezza, di amore, di perdono? Sicuramente un giusto, un uomo superiore, e forse anche qualcuno di divino. Ed ecco che quel “Giusto”, “quel Gesù”, la mattina della vigilia del sabato pasquale, era stato portato dalle volpi del sinedrio davanti a Ponzio Pilato e lì avevano urlato la sua condanna a morte, e che fosse Pilato a ratificarla, con il diritto di Roma. Claudia si era impaurita a sentire e a vedere dalla finestra della fortezza quei congiurati con frange e filatteri, quel Caifa odioso, che aizzavano la plebaglia a gridare a Pilato: “Crocifiggilo”.

In difesa di Gesù

A nessuna donna era concesso di interferire nei sistemi di legge e neppure suggerire qualche consiglio circa la procedura legale. Ma Claudia, sapendosi amata da Pilato, sente che deve far qualcosa in difesa del giovane Rabbì di Nazareth, il più nobile che ella aveva visto… il più buono, il più affascinante. L’intervento di Claudia è tanto più notevole in quanto ella mandò al marito Ponzio Pilato un messaggio nell’ora in cui stava decidendo “il caso” più importante che mai gli fosse capitato in tutta la sua carriera e che l’avrebbe fatto passare alla storia dei secoli a venire.
Mandare un messaggio a un giudice nell’esercizio delle sue funzioni era oltraggio meritevole di essere punito. Soltanto l’atrocità che Claudia aveva visto dipanarsi attorno a lei, l’aveva spinta a compierlo. Racconta l’evangelista san Matteo: «Mentre egli [Pilato] sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non impicciarti con quel giusto; perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa di lui”» (Mt 2,19).
Le donne di Israele tacevano. Erano assenti. Se qualcuna era presente su quella piazza tra il Tempio e il pretorio, stava gridando: “Crocifiggilo” contro Gesù. Una donna pagana, donna d’alto rango, nipote di Augusto e parente di Tiberio, l’imperatore in carica, si muove in difesa di Gesù, affinché il marito che ha già riconosciuto la sua innocenza, non ceda di fronte alle “barbe unte” dei sinedriti e al popolaccio, e lo tratti in modo equo.

Claudia Procula è l’unica donna romana citata dai Vangeli. Ed è una donna di altissimo rango. In lei è il patriziato romano, l’aristocrazia romana italica che sorge in difesa di Gesù. È la donna dalla fede ancora imperfetta, appena iniziale, che si alza in difesa di Colui che darà la più grande dignità alla donna, la vera dignità, che nessuna femminista è in grado di rivendicare.

Che cosa ha sognato Claudia, che cosa l’ha fatta tanto soffrire? Forse ha “visto” in sogno, quanto di lì a poche ore sarebbe avvenuto sul Calvario con “quel Gesù” straziato sulla croce, tra cielo e terra, e il cielo oscurato di tenebre, il terremoto che spacca le rocce, e i sepolcri che si aprono?

Certo è che quel sogno era l’epitome dei sogni e dei desideri di un mondo pagano, l’illuminazione sulla sua secolare speranza in un “Uomo giusto”, un Salvatore. Era un richiamo a Sofocle, che aveva scritto: «Non aspettarti che questa maledizione (il peccato, il dolore, la morte) abbia fine, finché non venga un Dio che si assuma, in sostituzione di te, i peccati che hai commesso».

Claudia sentiva – intravvedeva ancora vagamente, ma realmente – che quel “Giusto”, quel “Salvatore”, quel Dio che si assume i peccati degli uomini e li espia, era lì, davanti alla seggiola curule di suo marito, Pilato, che ella richiamava a non entrare nella storia di quel Gesù di Nazareth. Ma Pilato era troppo debole per ascoltarla. Il politico era nel torto, la sua donna, apolitica, era già nella verità, perché aveva inteso i presagi compirsi in quell’ora fatidica, la più fatidica della storia.
Sì, Gesù patì sotto Ponzio Pilato ma, a gloria di Claudia, una voce di donna si levò per Gesù il nome della verità e della giustizia. …………………………

Paolo Risso

DRAMMA del GOLGOTA

 Piazza Valeria Procula e Resti della Casa (tradizione)